“L’inconscio filmico” di Giuseppe Martini

Da sinistra: Michele Bianchi, Giuseppe Martini, Aldo Meccariello

È stato presentato il giorno 1 marzo 2015, a Monteporzio Catone (Roma) il volume «L‘inconscio filmico» di Giuseppe Martini, edito per i tipi di Jaca Book nella collana Psyché. Oltre all‘autore, il volume è stato analizzato dal Prof. Aldo Meccariello e dallo psicoanalista Michele G. Bianchi.

L’esperienza psichica umana ha – secondo l‘autore – anche una dimensione estetica. Il rapporto tra estetico e simbolico è centrale sia in filosofia che in ampia parte del pensiero psicoanalitico contemporaneo e con questo lavoro, che offre interessanti suggestioni, l’autore propone un modo diverso di disporsi alla visione di un film e di apprezzarne il piacere del testo che ne
può derivare. Punti di partenza sono le nuove concezioni della psicoanalisi, relative all’inconscio non rimosso, al sogno, alla traduzione. Poi gli apporti della filosofia ermeneutica, con particolare riferimento a simbolo, narrazione e traduzione e, infine, i contributi di teorici del cinema (i formalisti russi, Barthes, Deleuze, Metz, Pasolini, Tarkovskij), dell’arte (Henry) e della letteratura (Ricoeur, alla cui ermeneutica è riservata una attenzione particolare). Si è abituati ad andare al cinema con l’idea di assistere ad uno spettacolo di intrattenimento o per lasciarsi trasportare da emozioni intense, che finiscono col “mettere a riposo” il pensiero, ma quasi inevitabilmente si attivano conflitti psichici, difese e pulsioni che prendono possesso dello spettatore grazie ai processi di identificazione.
Una visione più distanziata fa a sua volta del film materia di un lavoro interpretativo e analitico (operazione che rimane basilare e ineludibile). Ma le interpretazioni, nonostante la loro raffinatezza, in quanto esercizio intellettuale e spesso pretestuale, si possono rivelare riduttive rispetto alla intraducibilità dell’immagine e allo spirito della psicoanalisi, quand’anche vi facciano riferimento. Il grande cinema è, però, anche capace di attivare una “terza via”: la trasformazione emozionale che sorge soprattutto nel dialogo tra l’opera filmica e l’inconscio non rimosso dello spettatore. L’inconscio, quale luogo dell’irrappresentato, presenta, infatti, un potenziale che consente lo sviluppo di rappresentazioni creative e simboliche, sulle quali l’opera cinematografica ha un effetto maieutico.
Il saggio si articola in undici capitoli. Nei primi due l‘autore propone un cambiamento di prospettiva nel rapporto tra psicoanalisi e cinema (cap. 1) e introduce l’idea di inconscio filmico (cap. 2), discutendo anche i contributi dell’ermeneutica, della semiologia e dell’analisi filmica. Segue un terzo capitolo in cui la riflessione si sposta sulle modalità di visione del film, soprattutto tenendo conto dei processi di identificazione, come studiati e teorizzati dalla psicoanalisi. Il quarto è dedicato alle tematiche del doppio e della dissociazione, che il cinema spesso rilegge come paradigmatiche della condizione umana. Partendo da qui, Martini riflette sul film in quanto testo eminente, valorizzando il cinema di poesia (cap. 5) e l’immagine simbolo (cap. 6), intesi come luoghi elettivi per lo sviluppo creativo dell’inconscio filmico.
Si confronta, poi, il cinema con tre dimensioni che assumono una funzione di rilievo nell’attivare peculiari dinamiche emozionali: il tempo (cap. 7), il sogno (cap. 8) e le psicosi (cap. 9). Nel capitolo 10 la riflessione si sposta sulla questione identitaria: da un lato la ricerca dell’identità si rivela come un filo conduttore della “settima arte” in quanto la attraversa sin dagli albori, dall’altro il cinema, specie postmoderno, si pone non solo come attestazione della deflagrazione dell’identità ma anche come meccanismo che ne contribuisce esso stesso alla dissoluzione.
L’ultimo capitolo (11) è dedicato alla traduzione, colta sia nel passaggio dal testo preesistente al film (il regista-traduttore), sia in quello che procede dalla sua visione alla interpretazione e alla trasformazione in materia affettiva inconscia (lo spettatore-traduttore). La conclusione, quasi inevitabile, invita al riconoscimento, all’apprezzamento e al godimento della intrinseca intraducibilità dell’immagine cinematografica.

Carlo Marino
Fonte: www.farodiroma.it